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Capitolo 3

Gabriela

Gemetti mentre la mia testa pulsava. Qualcosa di pesante era sopra di me, impedendomi di muovermi molto. Un respiro caldo si sentiva contro il mio collo e, mentre tutto sembrava confuso nella mia memoria, sapevo che qualcosa non andava.

"Mio dolce, dolce amore." Qualcuno mormora nel mio orecchio, facendo rizzare i peli sulla nuca per il panico.

"Mi prenderò cura di te. Mi prenderò sempre cura di te." Continua, lasciando baci umidi e disordinati lungo il mio collo e la mia spalla.

Il mio corpo rabbrividisce, ma non per il piacere, bensì per il terrore. Sentivo il suo corpo muoversi sopra il mio e, una volta che ho ripreso un po' di lucidità, mi sono resa conto che ero in una stanza buia con poca luce. Non riuscivo a capire bene cosa stesse succedendo o come fossi arrivata lì.

"Sei mia. Non appartieni a nessun altro che a me. Ti amerò per sempre."

Il panico ha iniziato a crescere. Inizio a spingere per allontanarlo da me.

"Shh, va tutto bene. Sono solo io. Ora possiamo stare insieme."

Prima che me ne rendessi conto, inizia a spingere la sua lingua nella mia gola, le sue mani cominciando a vagare su tutto il mio corpo. Il panico si trasforma in isteria totale. Inizio a dimenarmi sotto di lui per allontanarlo ancora di più, cercando disperatamente di spostare il mio viso dall'assalto della sua bocca sulla mia.

Lui mi preme ancora di più verso il basso, in quello che ora so essere il letto. Ero stata messa in una camera da letto di cui non avevo idea. Ero ancora nella stessa città a questo punto? Quando non capiva ancora che non volevo questo, inizio a cercare con la mano per vedere cosa potevo afferrare.

Sento un comodino e su quel tavolo c'era una piccola lampada. La stringo forte e la strappo dal muro, colpendolo direttamente sulla testa. Il forte tonfo mi libera finalmente dalla sua presa, e non perdo tempo a scendere dal letto e mettermi in piedi. Brandendo la lampada come un'arma che potrebbe fare seri danni.

"Cazzo!" Lui impreca, scivolando giù dal letto con un barcollio.

Non deve aver fatto abbastanza danni dato che la lampada non era affatto rotta e il bastardo era ancora vivo e vegeto. Ancora respirava, ancora cosciente.

"Che diavolo, Ivy!" Sputa mentre si tiene la testa.

Rimango congelata dove sono. Ivy? Aspetta un attimo. Pensava che fossi la mia sorellastra? Avevano rapito la ragazza sbagliata? Questo era davvero fantastico. Ma il sollievo mi invade mentre l'adrenalina inizia a calmarsi. Il martellare nella mia testa era ancora lì, ma al momento non mi importava.

Tutto quello che sapevo era che questo era solo un malinteso, e lui poteva lasciarmi andare. Ora desideravo non aver strappato la lampada dal muro. Avrei potuto davvero usarla per accendere la luce.

"Penso che ci sia stato un errore." Dico seccamente.

La sua figura si ferma e si immobilizza al suono della mia voce. Una voce che sapevo non si aspettava di sentire affatto. Non se pensava che fossi Ivy. Non dice nulla mentre si precipita verso il muro e una luce improvvisa inonda la stanza, facendo pulsare ancora di più la mia testa.

Strizzo gli occhi dal dolore, la mia visione offuscata dal cambiamento improvviso dell'atmosfera. Sbattendo le palpebre, guardo di nuovo verso di lui solo per vedere i suoi occhi spalancarsi per lo shock. Non so cosa mi aspettassi, ma non era questo.

L'uomo era decisamente attraente. Un po' più grande di me, immagino. Era snello, aveva capelli ricci e scuri tagliati bene. Era un po' più alto di me, quindi direi intorno ai cinque piedi e dieci pollici. La sua pelle era abbronzata e liscia. Ma non mi sembrava qualcuno di pericoloso o del tipo che si sarebbe imposto su una donna ignara.

Ma le apparenze possono ingannare.

"Chi diavolo sei?" Quasi ansima incredulo.

Stavo per rispondere quando lui improvvisamente si agita, corre verso la porta e la sbatte dietro di sé. Lo guardai incredula che mi chiedesse chi fossi solo per scappare via prima che potessi dargli una risposta.

Poi sento il clic della serratura.

Lascio cadere la lampada e corro verso la porta, provando la maniglia solo per scoprire che non si muoveva.

"Ehi!" Inizio a battere. "Ehi! Apri questa porta!" Comincio a urlare per la rabbia e la confusione.

Si accorge che ha la persona sbagliata eppure continua a tenermi chiusa qui dentro?! Per quale motivo? "Lasciami andare! Non sono chiunque tu pensi che io sia! Apri questa dannata porta!"

Sbatto la spalla contro il legno spesso solo per ottenere... niente. Dannazione! Come diavolo sono finita nei guai di Ivy?! Dovrebbe essere lei qui, non io! Dopo minuti di tentativi inutili, finalmente mi arrendo.

Mi sentivo ancora intontita e ora esausta. Mi allontano dalla porta e mi dirigo direttamente verso la finestra. Aprendo le tende con un colpo, volevo piangere e crollare a terra. Davanti a me si stendeva il vasto oceano con l'edificio a migliaia di piedi sopra una scogliera, guardando giù da circa cinque piani di altezza.

Non sapevo cosa fare. Ma anche se fossi riuscita a scappare, come diavolo avrei trovato la strada per tornare? Non avevo il cellulare e non sapevo dove diavolo mi trovavo. Per quanto ne sapevo, potevo essere su un'isola isolata lontano da New York.

Non so nemmeno quanto tempo sia passato da quando sono stata stordita. Ore, giorni? Chi diavolo era quell'uomo? Era evidente che conosceva Ivy... molto intimamente, infatti. Voglio dire, stava dichiarando il suo amore eterno per lei, per l'amor del cielo! Non sapevo nemmeno che Ivy fosse capace di amare. Forse il tipo era un illuso e aveva dovuto ricorrere al rapimento dato che Ivy era così piena di sé.

È... effettivamente molto possibile.

Il che mi faceva provare un po' di tristezza per lui. E pietà. Povero ragazzo, avrebbe avuto il cuore spezzato se non fosse stato un tipo ultraricco che deteneva potere nell'industria dei miliardari. Ivy era una sirena egoista e cacciatrice d'oro proprio come sua madre.

Ma d'altronde, il tipo mi aveva rapito e mi teneva ancora prigioniera. Quindi, la mia simpatia aveva dei limiti. I due potrebbero anche meritarsi a vicenda, dopotutto.

Sospiro sconfortata, tornando verso il letto per sedermi. Tirando le ginocchia al petto, mi rifiuto di addormentarmi. Chissà cosa avrebbe fatto quel pervertito dopo. Potrebbe anche approfittarsi di me per passare il tempo. E quel pensiero mi irrigidì la schiena con consapevolezza. Sì, il sonno era decisamente fuori discussione al momento.

Non abbasserò la guardia finché non saprò per certo che uscirò da questa situazione sana e salva. Quanto ci vorrà prima che mio padre mandi qualcuno a cercarmi? C'erano già persone là fuori che cercavano di capire dove fossi finita? Non pensava che fossi scappata, vero? Era un matrimonio che non volevo, e mia madre non c'era più, quindi non c'era davvero nulla che mi trattenesse alla mia promessa.

Ma non era da me. Non vengo mai meno alle mie promesse. E non avrei iniziato ora. Non ero una Russo per niente. Giusto, non potevo fare affidamento solo su mio padre e sugli altri per trovarmi. Sarebbe stato solo una perdita di tempo comunque.

Con una nuova determinazione, inizio a cercare qualsiasi cosa potessi usare per uscire da questo lugubre posto. Mentre stavo rovistando nei cassetti, improvvisamente sento dei rumori provenire dal piano di sotto. C'era qualcuno che urlava, poi dei rumori come se delle cose venissero lanciate in giro. Poi tutto si fece silenzioso. Fino a quando dei passi pesanti si diressero verso di me.

La paura e il panico mi assalgono mentre mi precipito verso la lampada caduta a terra per usarla come arma. Ma la persona che sblocca e spalanca la porta era l'ultima persona che avrei mai pensato di rivedere.

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