




Capitolo 5
Merianna
Fissai il pavimento...
E fissai ancora...
No, non era cambiato. Spinsi un piede curioso sul punto dove il tizio era scomparso. No, solido. Solido abbastanza da saltarci sopra. Nessuna botola o buco.
Alzai un sopracciglio e guardai l'uomo con i lunghi capelli d'argento. "Dove è andato?!" chiesi incredula.
Lui mi sorrise dolcemente. "Ma, attraverso il pavimento, mia cara." Disse, indicando il punto dove l'uomo era scomparso.
I miei occhi si spalancarono. "Sì. L'ho visto, ma COME?" chiesi agitando le mani verso il punto.
L'uomo rise alla mia espressione. "Magia, mia cara bambina. La magia è la base di tutto ciò che facciamo qui in questo castello."
Lo guardai sbalordita. "Magia...? Castello...?"
Lui mi guardò indulgente e fece un gesto verso una delle tende contro il muro. Le tende si aprirono larghe senza che nessuno le toccasse, rivelando lunghe e lucide finestre, incorniciate e modellate da un legno di ciliegio incredibilmente scuro. Finestre!!! Qualcosa di cui avevo sentito parlare solo dai miei genitori, vetri modellati e incastrati nei buchi sui lati di una casa in modo da poter vedere fuori senza dover prendere freddo in inverno.
Tuttavia, le finestre non catturarono la mia attenzione per molto tempo. Guardai il panorama che si rivelava oltre le loro superfici trasparenti. Alberi, erba, montagne e il cielo del primo mattino. Tutto si estendeva davanti a me all'infinito. Anche solo pensare che potesse esistere una fine a tutto ciò sembrava blasfemia.
Non mi ero resa conto di essermi avvicinata alla vista fino a quando la punta della falce non tintinnò leggermente sul vetro. Tirai via la falce e mi girai verso l'uomo in grigio. Heral, che era in piedi accanto a lui, aveva un sorriso divertito sul viso.
"Il mio nome è Nebbia." Disse l'uomo in grigio. "Benvenuta nel mondo delle streghe."
Streghe... Il mio cuore batteva eccitato nel petto a quella parola. Mia madre ci raccontava storie spaventose sulle streghe prima di andare a dormire, eppure in qualche modo non mi sembrava che fosse così che doveva essere. Immaginavo che le streghe non fossero le megere con le verruche sul naso, o gli esseri malvagi che maledicevano terre e regni, o le demoniache crone assetate di sangue che rapivano bambini dai boschi dopo il tramonto.
Guardai di nuovo il panorama dalla finestra, e mi sentii così viva, così al sicuro, così... a casa. Questo era il mondo delle streghe di cui avrei dovuto sentire parlare.
Con la luce del mattino che inondava la sala brillante, seguii Fog e Heral attraverso un passaggio nascosto a sinistra, che mi resi conto essere quello da cui Heral doveva essere passato la prima volta.
Vidi alcune persone che si aggiravano in una biblioteca attraverso la quale stavamo passando, e coloro che ci notarono alzarono la testa al suono dell'approccio di Fog. Nel momento in cui mi videro, rimasero a bocca aperta. Suppongo fosse a causa del Mietitore di Rune che ancora stringevo tra le mani. Per qualche ragione mi faceva sentire più stabile e radicato, non avevo intenzione di lasciarlo andare ancora.
Quando Fog notò una donna splendida con lunghi capelli castani che passava davanti a uno degli archi, si fermò e la chiamò. "Arasule!"
La donna si fermò di colpo e si girò curiosa nella nostra direzione. "Fog!" Gridò e istantaneamente il suo volto non sembrava più dolce e regale, si avvicinò furiosa verso di noi. "Figlio di una madre asina mezzo scemo! Eccoti finalmente!!! Spero proprio che insegnerai a quel maledetto Nochtandriel qualcosa di importante sul non entrare nella camera da letto di qualcun altro senza controllare prima se era quella giusta!!!"
La guardai sbattendo le palpebre. Ora era proprio davanti a Fog, non curandosi affatto che lui stesse sorridendo e facendo gesti per calmarla mentre si inclinava all'indietro dalla sua furia. Guardai oltre Fog verso il punto in cui Heral era stato un secondo fa. Apparentemente qualcosa di meglio aveva attirato la sua attenzione, perché vidi solo i suoi stivali scomparire rapidamente dietro un angolo.
Le persone intorno alla stanza facevano tentativi simili di mimetizzarsi con i mobili, i libri o di sparire velocemente in una sezione di scaffali.
"Adesso, adesso Ara. Sono sicuro che non l'ha fatto intenzionalmente." Disse Fog cercando di placare questa donna furiosa. Potevo quasi vedere il sudore che gli perlava il collo.
"Non l'ha fatto intenzionalmente?!" Urlò incredula spingendogli un dito in faccia. "Mi ha legata con radici selvatiche!!! RADICI SELVATICHE!!! Le sue radici hanno rotto cinque delle mie pozioni di invisibilità! Cinque!!!! Hai idea di che tipo di ingredienti ho dovuto barattare per ottenerle?!!!" Arasule afferrò il davanti delle sue vesti e lo scosse.
La fissavo curiosa. Il suo volto era passato dal rosa, al rosso, alle vene che spuntavano ora. Era come guardare una farfalla uscire dal suo bozzolo... ma invece di sembrare strana all'inizio e poi diventare bella, questo sembrava accadere al contrario.
"Farò in modo che lui sostituisca gli ingredienti Ara, lo prometto." Disse Fog, anche se dal suo volto sembrava chiaro che non avrebbe potuto far fare a quell'altro uomo – Nochtandriel - nulla, anche se lo avesse voluto.
A questo punto avevo un'idea molto chiara di chi fosse questo tipo, Nochtandriel...
"Faresti meglio a farlo, Fog... O giuro che avrai macerie da gestire invece di un castello!" Arasule lasciò la presa sul davanti delle vesti di Fog e per la prima volta abbassò lo sguardo su di me. Inclinò la testa di lato come una gallina, il suo viso tornando al colore normale che associo alle persone sane.
"Oh, Ara, questa è Merianna. Noch l'ha portata al castello qualche ora fa. L'ha trovata che vagava ferita nei boschi." disse Fog mentre raddrizzava le sue vesti e lisciava le pieghe.
Arasule continuò a guardare da me alla falce e poi di nuovo al mio viso. Poi fece un passo indietro e mi guardò ancora. Il suo viso si illuminò in un sorriso brillantemente bello e strillò. "È così dannatamente CARINA!"
Prima che me ne rendessi conto, ero avvolta in un abbraccio dolce e profumato che quasi sembrava potesse spezzare le mie tenere costole. Poi mi rimise giù e si girò di nuovo verso Fog.
"Rimane, vero? Dimmi che rimarrà." disse con una voce quasi supplichevole.
Fog guardò da me ad Arasule e di nuovo a me. "Non hai paura di lei, vero?" mi chiese Fog.
Lo guardai accigliata con curiosità, cosa c'entrava questo con tutto il resto? "Ahhh, no." dissi inclinando la testa di lato curiosamente. "Dovrei?"
Fog fece una risata sorpresa ma non mi rispose. Invece si girò di nuovo verso Arasule.
"Bene Ara, vedremo. Ha una sorella nei boschi e Noch la aiuterà a trovarla. Hai una giacca corazzata abbastanza piccola che possiamo darle e degli stivali?" chiese annuendo verso di me.
"Potrei avere proprio quello che serve!" disse Ara girandosi vorticosamente in un turbinio di gonne e sparì in un altro passaggio nascosto.
"Ogni passaggio è un passaggio segreto?!" chiesi con un'esplosione di aria.
"Quasi." disse Fog strizzandomi l'occhio. "Solo alcune persone conoscono ogni singolo passaggio nascosto. Per lo più servono quando siamo attaccati o nel caso in cui il castello venga assalito. Nessun estraneo ha mai osato mettere piede nel nostro castello finora. È protetto e incantato fino all'osso."
Annuii lentamente come se capissi cosa intendesse con "protetto" e "incantato", anche se quelle parole non significavano assolutamente nulla per me. Prima che ce ne rendessimo conto, Ara era tornata altrettanto improvvisamente come era sparita, con del materiale sottile tra le mani e un paio di stivali che pendevano dalle sue delicate dita.
Presi il materiale che mi porgeva con la mano libera. La sua consistenza era quella di un cuoio resistente e forte, eppure era così sottile e leggero che poteva sembrare tessuto di cotone. Odorava un po' di cuoio ma anche di fresco e floreale per qualche motivo.
"Avanti!" incitò Ara. "Indossalo."
Guardai la falce nella mia altra mano e poi di nuovo la giacca.
"Ti tengo la falce, cara, mentre la indossi." Ara si offrì e posò gli stivali ai miei piedi. Nebbia, invece, la guardò con occhi spalancati. Non che Ara se ne accorgesse o che Nebbia si preoccupasse di esprimere le sue preoccupazioni, qualunque fossero.
"Va bene." dissi e le allungai la falce con una mano.
Non appena le mie dita lasciarono il metallo freddo, finalmente capii cosa potesse pensare Nebbia. Una volta trasferita, le rune - ai miei occhi - sbiadirono e Ara strillò mentre il vero peso dell'arma si abbatteva su di lei con vendetta. I suoi muscoli si contrassero automaticamente ma non abbastanza velocemente. Il peso sostanziale ora sbilanciato tra la lama e la punta fece inclinare Ara verso destra e affondare sotto il suo peso.
La punta della lama colpì le piastrelle e tagliò il pavimento. Vagamente sentii un urlo provenire da qualche parte sotto il pavimento dove la lama aveva colpito. Ara si rialzò traballante e mi guardò come se fossi stato io a far spuntare la lama sopra la testa di qualcun altro.
La guardai e scrollai le spalle con la mia espressione più innocente - quella che usavo sempre con mio padre - e indossai la giacca verde e gli stivali. Sorprendentemente, mi stavano tutti perfettamente...
Nebbia sorrideva, la sua bocca tremava leggermente ai lati come se stesse cercando molto duramente di non ridere ad alta voce di Arasule che ancora mi fissava. Poi mi avvicinai alla falce, e non appena le mie mani toccarono le rune del manico, i simboli si accesero e la estrassi con una mano come se non pesasse nulla.
"Grazie per la giacca e gli stivali." sorrisi ad Arasule che ancora mi fissava con sorpresa.
"Dov'è quell'idiota che dovrebbe portarmi e aiutarmi a trovare mia sorella?" chiesi a Nebbia, e lui scoppiò a ridere.
"Sono sicuro che sarà all'ingresso del castello presto. Andiamo avanti." disse Nebbia guidando la strada fuori dalla biblioteca e giù per un'altra rampa di scale. Lo seguii sentendomi bene per il fatto che stavo facendo qualcosa.
Nelia, meglio che tu sia viva quando ti trovo. Non ti perdonerò se non lo sei.
Finalmente raggiungemmo il fondo dopo quello che sembrava un'eternità. Fui accecata dalla luce del mattino che entrava quando Nebbia aprì le enormi porte doppie di legno scuro che conducevano all'esterno.