Capitolo 7
Il punto di vista di Isabelle
Il sole era già alto, e dovevano essere circa le dieci del mattino. Faceva abbastanza freddo da non far andare a male la carne che avevo con me, e di questo ero grata, ma mi ero persa e continuavo a chiedermi perché il mio telefono non prendesse. Aveva funzionato alla grande per un sacco di tempo, ma proprio ora aveva deciso di fare i capricci. Grugnii. Iniziai a sentire odore di fumo di un falò e la curiosità ebbe la meglio. Era un rischio; come potevo sapere chi ci fosse? Speravo solo fosse qualcuno a cui non sarebbe dispiaciuto aiutare una compagna di viaggio.
Qualcosa non tornava. Mi si rizzarono i peli sulla nuca. Quel posto apparteneva a quel grosso lupo. Glitter non disse nulla, ma accennò una piccola danza. Io non ero altrettanto sicura.
Aveva allestito un piccolo accampamento, ma era incredibilmente ordinato. C’era un grosso tronco usato come seduta e del cibo che già arrostiva sul fuoco. Lui non c’era, ma se il fuoco era acceso, doveva essere nei paraggi. Decisi che, visto che l’avevo trovato, avrei fatto meglio a montare il mio campo un po’ distante dal suo, così da lasciargli il suo spazio. Magari non gli sarebbe dispiaciuta una vicina di campeggio.
Devo aver saltato un passaggio o perso un pezzo della tenda perché, ovviamente, non voleva saperne di aprirsi come avrebbe dovuto. Era una bella tenda da tre persone, ma sembrava sgonfia. Lottai con quella maledetta cosa finché le mani grandi e artigliate di qualcuno non la fecero scattare al posto mio. Borbottai un “grazie”, sentendo in risposta solo un sospiro profondo e divertito.
«…Ti dispiace se mi accampo qui?» sorrisi dolcemente.
«…Signora Luna…» Si pizzicò la radice del naso e si lasciò sfuggire un piccolo ringhio. Non era un “no”.
«Grazie» sorrisi, ma lui non ricambiò. Socchiuse gli occhi e strinse le labbra, osservandomi mentre srotolavo il sacco a pelo e tiravo fuori la carne che avevo da un sacco della spazzatura… Se non fosse stato per il freddo, sarebbe già andata a male. Poi tirai fuori il caricatore solare, il telefono e accesi la piccola lampada che mi aveva dato mamma per farmi luce.
«Non sai assolutamente nulla della vita selvaggia, vero, principessa?» mi interrogò con un ghigno.
«Non chiamarmi principessa!» gli ringhiai contro, guardandolo dritto nei suoi occhi rossi.
Lui rise di me. «Nessuna abilità di sopravvivenza, tecnologia umana, attrezzatura nuova che ovviamente non hai vinto in combattimento. Tu. Sei. Una. Principessa» ridacchiò, e io misi il broncio.
«Allora insegnami!» esigetti, battendo un piede per terra. Lui inarcò un sopracciglio.
«Non ci andrò leggero con te» disse con un ringhio sicuro di sé.
«Non mi importa» sibilai in risposta. I suoi occhi rossi brillarono come quelli di un bambino in un negozio di caramelle.
«Chiamami Bryson» disse con un sorrisetto malizioso, gettando un ceppo nel fuoco.
«Io sono Isabelle» dissi, fissandolo negli occhi. Un lampo nero li attraversò: era il suo lupo.
Si alzò, smontò entrambe le tende e mi mostrò come aprirle correttamente. Ci volle un po’, e intanto i suoi conigli furono pronti e il cervo che avevo catturato era completamente arrostito. Condividemmo la carne in silenzio, con lui seduto all'estremità opposta del tronco. Mangiò una quantità notevole, ma non mi aspettavo niente di meno. Fissava il fuoco e io mi avvicinai lentamente a lui. Non sembrava prestare attenzione. Faceva freddo, ma il fuoco era caldo e il cielo pareva pieno di uccelli. Mi fermai quando fui a un braccio di distanza, ma lui non si mosse.
Esaminai il suo viso, visto che era così assorto in chissà quali pensieri. Era un guerriero, coperto di cicatrici. I suoi lineamenti scolpiti e la mascella forte completavano lo sguardo potente e intenso che possedeva. I suoi occhi cremisi danzavano con la luce delle fiamme, e dovetti sforzarmi per non perdermici dentro. Mi riscossi e, ora che ero più vicina, provai ad annusare il suo odore. Sapeva solo di potere, rabbia… e foresta? Non riuscivo a distinguere nient’altro, perché sembrava saperlo nascondere bene. Come poteva avere un odore così carico di rabbia? Mi chiesi se fosse per quello che i suoi occhi erano così… Stavo per chiederglielo, ma prima dovevo catturare la sua attenzione.
Allungai una mano per toccarlo, ma lui si irrigidì come se qualcuno stesse per pugnalarlo. Potei solo supporre di averlo offeso, perché andò verso la sua tenda e tirò giù la cerniera prima che potessi chiedergli qualsiasi cosa.
Il sole stava tramontando e approfittai di quel momento per chiamare mamma e farle sapere che stavo bene. Avevo una sola tacca di campo, quindi tanto valeva usarla finché c'era. Le dissi che era tutto a posto, omettendo ogni dettaglio. Non era necessario che sapesse del giorno prima, e non ero ancora sicura di aver trovato il mio compagno. Se era lui, me lo sarei decisamente portato a casa. Era abile nel combattimento, questo era poco ma sicuro.
Poco dopo andai a dormire e, al mattino, lo trovai vestito con un paio di jeans strappati, scarponi da trekking e una maglietta nera. Si intravedeva il profilo dei suoi muscoli sotto il tessuto, e io rimasi a fissarlo. Lui si schiarì la gola rumorosamente, consapevole che lo stavo squadrando, ma anche lui mi stava fissando! Mi guardò da capo a piedi, dato che mi ero cambiata nella mia tenda. Indossavo dei jeans blu scuro e una maglia gialla a maniche lunghe.
«Forse dovresti cambiarti la maglia, è troppo vistosa» borbottò a mezza voce. «…nel caso dovessimo cacciare mentre spostiamo l'accampamento» aggiunse un po' più forte. Arrossii ed entrai in tenda, cambiandomi con una maglia verde scuro, che però aveva una profonda scollatura a V. Ero indecisa se metterla o no, ma riuscivo a intravedere la sua sagoma mentre smontava la tenda e riponeva tutto in uno zaino. Finì in appena dieci minuti e poi mi aiutò persino a preparare il mio.
Camminammo in silenzio. Be', lui camminava… io praticamente gli trotterellavo dietro, nonostante fosse lui a trasportare tutta la nostra attrezzatura. Mi sentì e si voltò. Rallentò il passo senza dire nulla. Tutto quel peso sulle spalle non sembrava disturbarlo affatto; era quasi come se fosse felice, ma era difficile dirlo con quell'espressione impietrita che aveva.
«Perché mi guardi?» chiese bruscamente, all'improvviso.
«Mi piace la tua faccia» sbottai, per poi darmi mentalmente una manata in fronte. Lui si lasciò sfuggire il più piccolo dei sorrisi… e continuò a camminare in silenzio, mentre io cercavo di nascondere il rossore.
«Perché sei qui fuori? Potresti essere a capo di un branco» domandai per cambiare argomento.
«Nessuno vuole una Bestia». Notò la mia espressione confusa e sospirò. «Io sono Bryson la Bestia, nato sotto la luna rossa. È una benedizione e una maledizione: sono forte come un lupo di sangue antico, eppure sono un reietto per quello che sono». Continuai a camminargli accanto, sorpresa.
«Dove stiamo andando?» chiesi per cambiare di nuovo discorso. Capivo che quello era un tasto dolente per lui.
«Stiamo attraversando un piccolo ruscello. Stanotte ci accamperemo vicino a una cascata, così potremo lavarci» disse in tono pratico. «Se vuoi abbandonare la vita nomade, il branco della Luna Nera si trova a ovest, dall'altra parte, a circa una settimana di cammino» precisò.
Scossi la testa e continuai ad andare avanti. Non capivo perché continuasse a dirmi di andarmene, quando lui stesso era solo. Doveva sentirsi terribilmente solo, dato che la maggior parte dei lupi ha bisogno di un branco per non impazzire. Non aveva nessun marchio, ma di certo uno così potente avrebbe dovuto avere una compagna al suo fianco e un cucciolo o due…
Perché questo pensiero mi rendeva gelosa? Non ne avevo idea… ma era così. Era impossibile che fosse il mio compagno, a quest'ora l'avrei già saputo, ma perché la mia lupa non diceva niente? Da quello che avevo sempre sentito, la lupa sa sempre tutto. Aggrottai le sopracciglia senza accorgermene, finché non sentii una leggera risata.
«Sembra che non ti piaccia l'acqua» disse con una faccia di pietra, ma con un evidente divertimento nella voce.
Indicò un punto davanti a noi. Riuscivo quasi a intravederla e iniziavo a sentire il leggero scroscio del ruscello e della cascata. Gli alberi della foresta perdevano le ultime foglie nelle piccole e gelide folate di vento, ma per fortuna, essendo una lupa, non sentivo il morso dell'inverno che si avvicinava.
