La Principessa del Prigioniero

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Capitolo 4

Il punto di vista di Isabelle

Mi spazzolai i crespi capelli neri e diedi un'occhiata al mio abbigliamento. Ero pronta per la decisione più difficile che avessi mai dovuto prendere. Avevo due paia di stivali militari in pelle nera: uno era legato allo zaino sul letto, l'altro lo indossavo e mi arrivava fino alle ginocchia. Portavo una maglia nera a maniche lunghe e jeans neri che, secondo me, mettevano in risalto i miei occhi giallo ambra. Mi legai i capelli in una treccia che mi scendeva fino a metà schiena e afferrai il piccolo e sporco peluche di un unicorno bianco. Avrei dovuto vergognarmene, ma Daisy sarebbe venuta con me.

Misi in valigia le ultime cose. «È arrivato il momento» sussurrai. Stavo per lasciare il territorio che avevo conosciuto per tutta la vita. Ero la primogenita, ma qui non c'era posto per me. Caleb, mio fratello minore, sarebbe stato il prossimo Alfa... Era un miglio più forte di me. E lo stesso valeva per Jason, mio cugino... e per l'altra mia cugina, Michelle. Loro sarebbero diventati il primo, il secondo e il terzo in comando del vicino territorio Crimson, una volta cresciuti. La gente li ammirava. A me volevano bene e, per la maggior parte, mi rispettavano... ma io volevo di più.

Se fossi rimasta qui, non sarei mai diventata un vero leader. Sono l'ultima in classifica. La quarta. Qui non c'è posto per me, anche se voglio loro un gran bene. Pensavo che, una volta trovato il mio compagno, avrei forse potuto creare un mio branco nelle vicinanze.

Ero felice... ma sola. Tutti avevano i loro compagni, tutti erano contenti di condividere ogni divertimento con me, e durante il giorno mi godevo la vita... ma a letto andavo da sola. Pregavo la Dea, ma nessun compagno si faceva vivo; ogni notte, però, sognavo di andarmene. Lui era vivo, là fuori; dovevo solo trovarlo. Probabilmente anche lui mi stava cercando.

Piegai l'ultimo paio di jeans nello zaino. L'avrei fatto nel modo tradizionale: a piedi, attraverso le terre selvagge del paese. Non c'era alcuna garanzia che lui avesse un'auto o che si trovasse in un branco, in quel momento. Mio padre non approvava, ma capiva. Lui aveva aspettato duecento anni per la sua compagna, e io gli giurai che se non avessi trovato nessuno, sarei tornata.

Mi misi lo zaino in spalla. Pesava almeno venti chili, ma per me era come non sentirlo. Avevo una tenda, degli accendifuoco, pentole, qualche condimento per la carne, vestiti, un sacco a pelo e una coperta. Eravamo in autunno inoltrato, quindi avrebbe fatto freddo, ma non mi importava. Ero in missione, una missione che mi imponeva di tirare fuori il coraggio.

Scesi le scale a testa alta e tutti applaudirono. Mio padre sembrava triste, ma orgoglioso. Mamma mi corse incontro e mi avvolse in un abbraccio più stretto che poteva. Io ero solo un paio di centimetri più alta di lei, quindi quando papà e mio fratello si avvicinarono, ci sovrastarono entrambi con i loro due metri d'altezza.

«Okay, ragazzi, così mi schiacciate prima ancora che esca dalla porta» scherzai. Avevo anche un telefono e un caricabatterie solare, quindi non era un "addio", ma un "a più tardi".

«Mi raccomando, chiama tutti i giorni» disse dolcemente mia madre; era sull'orlo delle lacrime, ma le trattenne, da vera Luna qual era.

«Mamma, lo sai che lo farò. E per i primi tre giorni non mi trasformerò neanche, quindi tecnicamente potrete ancora vedermi» dissi, sorridendo.

«Ricordati quello che ti ho detto, Izzy» disse papà, dandomi una pacca decisa sulla spalla che per poco non mi fece cadere. Annuii, e in quel momento suonò la sveglia del telefono: era ora di andare. Era mezzogiorno, quindi potevo camminare per cinque ore e poi riposare.

Uscii dalla porta e decisi che avrei accompagnato Caleb e papà fino al confine del territorio sui quad. Non aveva senso tenerne uno, dato che non avevo la garanzia di un rifornimento regolare di benzina. Feci un respiro profondo. Ci siamo.

Attraversai il confine invisibile e guardai mia madre, mio padre, mio fratello e il resto della famiglia e del branco che avevano voluto seguirmi. Li salutai con la mano, e alcuni ulularono. Mi voltai e mi misi a correre, così nessuno avrebbe visto le lacrime che mi si stavano formando agli occhi. Papà emise un ruggito potente, seguito da tutti gli altri. Ulularono tutti, e io risposi al loro richiamo finché, a poco a poco, non riuscii più a sentirli. Lo aveva fatto per proteggermi: sentendo non solo un alfa, ma quasi tutti i lupi di alto rango del territorio, i lupi solitari malintenzionati si sarebbero tenuti alla larga da quella zona per un bel po'. A quel pensiero sorrisi.

La tristezza si trasformò lentamente in eccitazione. Là fuori avevo la possibilità di essere più di una semplice figlia dell'Alfa. Là fuori, l'Alfa ero io. Ero più che forte, con il sangue del re dei lupi che scorreva latente nelle mie vene. Non potevo ancora usarlo tutto perché non ero abbastanza grande, ma ero potente quanto un maschio... anche se ero così bassa. Sospirai. Visto che il sole stava calando, decisi di accamparmi.

Con quella luce pessima riuscii a malapena a montare la tenda, e scelsi di non accendere un fuoco perché non faceva così freddo. Ero un lupo mannaro; potevo sempre trasformarmi. Avevo ancora un buon segnale, ma smisi di giocare al telefono quando la batteria scese al 25%, in caso di emergenza.

Cercai di dormire, ma fu difficile finché non tirai fuori Daisy. Profumava ancora di mamma, papà e mio fratello. Profumava ancora di casa. Una parte di me voleva tornare indietro. Non osare. Dobbiamo trovare il nostro compagno, ringhiò Glitter.

Rilassati, stavo solo pensando, adesso dormi, le dissi con fermezza, alzando gli occhi al cielo. Sarà anche stata la mia altra metà, ma non significava che dovessi obbedire ai suoi ordini. Mi infilai sotto le coperte e mi svegliai all'alba.

Il picchiettare dei picchi mi svegliò prima della sveglia, e la caduta delle foglie nella fioca luce del mattino stuzzicò la mia eccitazione. Mi cambiai, indossando dei vestiti da trekking, e faticai a smontare la tenda. Avevo letto le istruzioni, ma ci misi trenta minuti a disfare quell'affare. Grugnii per la frustrazione, ricordandomi di aver lasciato delle cose dentro e che dovevo tirarle fuori e rimetterle nello zaino. Avevo delle borse per i vestiti sporchi e sistemai tutto, ma quando ebbi finito erano già le dieci del mattino.

Avevo perso così tanto tempo a smontare il campo, sprecando preziose ore di luce a capire come disfare tutto, e mi diressi verso nord. Non avevo in mente un posto preciso, ma in tutti i miei sogni vedevo la foresta e un grande lupo bruno che correva tra gli alberi.

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