Capitolo 3
Il punto di vista di Isabelle
Mi fissava con uno sguardo severo e le labbra serrate. «Sei sicura che sia questo che vuoi?» chiese, preoccupato. Mamma si era alzata e ora sedeva alla sua scrivania, guardandomi con una tristezza infinita negli occhi.
«Papà, mamma. Quel sogno era così reale che potevo sentire la terra bagnata sotto i piedi. È un messaggio della Dama Pallida, ne sono certa» dissi, sorseggiando il caffè.
«Kaiden, credo che abbia ragione. Ti ricordi il sogno di Connor qualche anno fa?» affermò lei, alzandosi e posandogli le mani sulle spalle. Lui emise un grugnito.
«Non ha idea di quanto sia dura là fuori. Nessuna protezione dal branco, nessun perdono per gli errori. Nessun aiuto. Altri esseri soprannaturali… e prigionieri evasi…» borbottò. I suoi occhi diventarono rossi, come quelli del suo lupo, quasi stesse ricordando qualcosa, ma non avevo idea di cosa.
«Dobbiamo lasciarla andare» disse mamma, massaggiandogli le spalle. Lui la guardò con un’espressione che non riuscii a decifrare, ma credo si stessero parlando tramite il legame.
«… Hai ragione… ma per lo meno, verrò con te in città a comprare delle provviste» disse, baciando mamma davanti a me. Che schifo.
«C’è vostra figlia qui. Proprio davanti a voi. Mantenete un certo contegno» dissi con un leggero broncio, e papà ridacchiò.
«Beh, i baci sono ammessi con quel visto censura, Izzy.» Baciò di nuovo mamma, e lei rise. Alzai gli occhi al cielo e mi alzai, scendendo al piano di sotto ad aspettarli.
Rimasi seduta sul divano per un po’, prima che papà scendesse con mamma. Sospirai pesantemente. «Davvero?» dissi, e onestamente fui contenta di andarmene. Avevano entrambi le camicie stropicciate e cercai di non pensare al perché. “Santo cielo,” pensai tra me e me. La luna della notte precedente aveva ancora i suoi effetti su chiunque avesse un compagno. In pratica, una volta che lo trovi, non riesci a tenergli le mani di dosso.
Papà ridacchiò e prese le chiavi. Entrambi cercarono anche di sistemarsi i vestiti. Mi sedetti sul sedile posteriore mentre ci dirigevamo al confine del branco. Lentamente, il villaggio si trasformò in foresta. Fummo fermati da una guardia, che sembrava annoiata finché non si rese conto di chi fossimo. «Alpha, Luna, Principessa» disse con un profondo inchino. Non ero abituata a essere chiamata con il mio titolo, perché qui nessuno ti trattava davvero come un reale. Eravamo un branco informale che cercava di trattare tutti nel modo più equo possibile. E la vita nel branco era pacifica… ma non ne ero mai uscita prima.
Papà gli fece un cenno col capo e uscì dal territorio. Quando aveva parlato di andare in città, pensavo si riferisse ai negozi del branco. La città umana più vicina era a tre ore di distanza…
«Bene, Izzy, le regole: non chiamare me o tua madre con i nostri titoli. Alpha, Luna e Principessa non sono esattamente termini usati dagli umani. Qualcuno potrebbe sentirmi e pensare che sia un soprannome… ma non abbiamo bisogno che dei cacciatori di taglie scoprano cosa siamo. Ci seguirebbero fino a casa e sterminerebbero l’intero branco per qualche pelle, Izzy» disse con un leggero cipiglio. «Anche questo è importante: non far capire agli umani che sei un lupo. Niente ringhi, niente occhi che si illuminano, niente artigli o zanne. Stiamo andando in un negozio di articoli sportivi, quindi potrebbero esserci un sacco di aspiranti Van Helsing là dentro. Già di nostro abbiamo occhi che a malapena sembrano umani» borbottò.
Ero l’unica ad aver ereditato gli occhi ambrati di papà, di un giallo-marrone. Quelli di mamma e Caleb erano azzurri. Sospirai con lui e guardai fuori dal finestrino. Avevo visto le città e gli umani in TV, ma non avevo mai interagito con loro. Non mi era permesso andare con papà alla Prigione Horizon, l’unico posto dove si potevano trovare. Nessuno di noi poteva. Papà era molto severo su questo punto. La maggior parte delle entrate del branco proveniva da lì, accogliendo prigionieri di altri branchi e detenendo noi stessi lupi solitari, cacciatori di taglie e altra gentaglia.
«Kaiden, non vediamo un cacciatore di taglie da quasi vent’anni» disse mamma, dandogli un pugno sul braccio.
«Vero, ma potrebbe sempre esserci un gruppetto da qualche parte là fuori» rispose lui, afferrandole la mano e baciandola mentre guidava.
Papà parcheggiò al “Bass Professional’s Shoppe”, perché era il più grande negozio di articoli sportivi della zona. Entrammo e vidi un sacco di cervi, alci e persino una lince rossa impagliati. In un certo senso, ero disgustata e non mi sentivo al sicuro lì. Capivo che stessero cercando di far sembrare il negozio una foresta… ma non mi piaceva comunque. Se avessero visto in cosa potevamo trasformarci io e la mia famiglia, vorrebbero anche noi su una dannata parete. Ma eravamo lì per una missione. Volevo andarmene e vivere nella natura selvaggia. Là fuori avrei dovuto avere un coraggio da leoni. Come aveva detto papà… nessun branco, nessun aiuto.
Feci un respiro profondo, superando tutte le carcasse di animali, e ci mettemmo a chiedere in giro per procurarci il necessario. A mamma sembrava che quel posto non piacesse più di quanto piacesse a me, ma non disse nulla. Immaginai anche che il collegamento mentale fosse fuori discussione, dato che quando lo usiamo i nostri occhi brillano temporaneamente del colore di quelli dei nostri lupi.
Papà si schiarì la gola e indicò il reparto da campeggio. Mi presero ogni genere di attrezzatura: una tenda come quella del mio sogno, un sacco a pelo, un generatore solare portatile per il telefono e un sacco di altre cose che avrei potuto usare.
Quando arrivammo alla cassa, vidi che il commesso era un uomo anziano. Era pieno di rughe e sembrava avere almeno cent’anni. Mi rivolse un sorriso e iniziò a passare i miei articoli, mentre papà cercava la carta di credito nel portafoglio. «Buon pomeriggio» salutò, sorridendo. «Siamo in cerca della nostra compagna, eh?» I peli sulla nuca mi si drizzarono e lo guardai in faccia, ancora sorridente. Non c’era malizia nel suo sguardo, ma come faceva a saperlo?!
Papà si guardò intorno per assicurarsi che non ci fossero altri cassieri o clienti in fila. «Umano.» «Avvertito» disse papà a bassa voce, trattenendo un ringhio, ma l’uomo alzò gli occhi al cielo e continuò a passare la merce.
«Stai calmo, o attirerai l’attenzione. Sono il signor Jose Smith… È che mi ricordate qualcuno a cui vendevo il pane… Non siete parenti dei Gray, per caso? Greg è ancora l’Alpha o ha preso il suo posto il suo ragazzino?» disse con un lieve sorriso. «Quando vivevo al nord, mi occupavo del catering per gli eventi dei Gray, prima di cedere i diritti a mio fratello maggiore, pace all’anima sua» disse, passando un accendino sullo scanner.
«Le mie condoglianze» disse mamma, mettendosi davanti a me. La cosa ironica era che io ero letteralmente il doppio di lei.
«Oh, non è morto. È solo uno stronzo» disse lui con una risatina.
«Non vado lassù da quasi vent’anni, ma quando ci sono stato l'ultima volta, era già morto» disse papà.
«Ah, be’, allora immagino che mi debba 50 dollari» ridacchiò seccamente. La sua espressione si fece cupa, ma mantenne un piccolo sorriso. Non capii cosa intendesse. Avevano forse scommesso su chi sarebbe morto per primo? Strano.
«Se mai dovessi rivedere l’Alpha Gray, gli porterò il messaggio da parte sua» disse con un sorriso triste. Papà sembrava sapere qualcosa, ma non voleva condividerlo. Pagò e ce ne andammo, confusi.
«Vostra Maestà, richiedo formalmente l’ora della favola durante il viaggio di ritorno» dissi con il miglior accento inglese che riuscii a fare mentre mi allacciavo la cintura. Era terribile, ma lo fece ridere. Missione compiuta.
«Quando io e tua madre andammo a trovare il Re, mi imbattei in un ragazzino attaccabrighe che ebbe le palle di sfidarmi, o quasi. Avrà avuto al massimo 25 anni, un cucciolo, con tutti i problemi del branco scaricati addosso. A New Apple, nientemeno. La città più grande del paese» disse, scuotendo la testa.
«Wow… e io che pensavo fossi stressato a gestire Horizon» dissi, piuttosto colpita.
«Izzy, un giorno guiderai il tuo branco. Hai il lupo di un Alpha e il sangue del Carbonizzato in persona. Ma quello che facciamo, lo facciamo per il branco. Niente giorni liberi, litigi, preoccupazioni o stress. Tutto il peso del branco, grande o piccolo che sia, ricade su di TE. Tu difendi il branco dagli attacchi. Tu dai loro conforto, sapendo che possono dormire la notte perché l’Alpha è di pattuglia. E anche coloro che ti aiutano sono la spina dorsale di un branco. Non è solo una questione di potere, chiunque può essere potente… ma ci vuole di più. Ci vuole dedizione per la tua gente» disse tutto d’un fiato. «…È solo che non avrei mai pensato che 18 anni sarebbero passati così in fretta… Ucciderei mille uomini mille volte per avere un altro giorno con te, scricciolo che mi attacchi le caviglie e corri da Piccolina per salvarti dallo sgabello della punizione» disse con un piccolo sorriso.
«Domani sarà dura…» disse mamma, tenendo la mano a papà. Eravamo quasi arrivati al territorio, ne sentivo l’odore.
«Tornerò» dissi con fermezza.
«È una promessa, signorina?» disse papà, severo.
«Sulla mia pelliccia, giuro che verrò ALMENO a trovarvi, papà» dissi con un sorriso. Lui emise un mormorio di approvazione.
